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15/10/2005: La II Guerra mondiale 60 anni dopo.

- Parte 2 -

 

Parata militare ai Fori Imperiali. Automezzi perfettamente allineati ma usurati. Ci dissero che durante la visita del Capo del Governo nessuno aveva mosso la testa e non mostravamo di aver paura dell’acqua perché pioveva, e ci fu chiesto allora se temessimo il fuoco e poiché la divisa era da onorare, ci dissero che il Fronte dell’Est era la Russia e che appunto, insieme alle Divisioni Pasubio e Celere formavamo il Corpo di Spedizione Italiano in Russia - CSIR. Dallo scalo di San Lorenzo in Roma partirono le tradotte.
Era il 18 Luglio 1941.

Il tenente Giustino Matassa, romano, guardandomi con una lacrima agli occhi mi disse – Italo, guardiamola bene Roma bella che se ne va tra le bande militari e le giovani Italiane che ci gettano tanti baci, Roma non la vedremo mai più.
Tu sei un ufficiale - replicai - devi credere alla buona sorte, al tuo ritorno, al tuo coraggio.

La tradotta si fermò a Borsa, cittadina del confine orientale ungherese. Da lì, da divisione autotrasportata - mancando i necessari ed attesi autocarri - dovemmo iniziare la durissima marcia a piedi di 1500 km attraversando l’ultima parte orientale dell’Ungheria, poi Romania, Bielorussia e Russia. 30 km al giorno per tre giorni consecutivi, un giorno di riposo e così via per tutta la percorrenza e nella quotidiana illusione che potessimo alfine salire sugli autocarri, che non arrivarono mai dall’Italia.

 

Gli allievi al corso ufficiali.

Alle prime tappe cercavamo un po’ di paglia per il riposo nella notte, ma poi la nuda terra fu il nostro letto. Non vedendo per la sopraggiunta oscurità, ci accampavamo dove capitava e così nei pressi di acquitrini ci trovammo bagnati ed a me capitò, senza rendermene conto, di trovarmi in un cimitero non cristiano dove all’alba gli scarafaggi s’erano impadroniti del mio corpo e con fatica me n’ero liberato.

Pur stanchi dall’enorme travaglio, in una notte apocalittica ci trovammo a passare il fiume Dniepr su un ponte ferroviario alto circa 10 metri, tranciato a metà da bombardamenti d’artiglieria e sistemato alla meglio per il passaggio pedonale con fragili coperchi di cassette viveri, raccordato con scala precaria in discesa fino a pelo d’acqua, poi con riallaccio ad altra scala precaria di risalita per riprendere in linea orizzontale il percorso interrotto. Tutto ciò comportava circa venti minuti per l’attraversamento del fiume sotto bombardamenti intensi d’artiglieria nemica, che faceva purtroppo frullare teste, con corpi rimasti a penzolare sul ponte in un convulso tremito.

Incendi, fumo acre soffocante, bombardamenti d’aerei nemici ci accompagnavano per attestarci alla prima battaglia di Dniepropetrovski.
Avevamo tanta paura ed alle prime luci dell’alba scorgemmo un campo di cocomeri immaturi che fu comunque una piccola risorsa per il nostro stomaco vuoto. Non eravamo certo truppe fresche per affrontare la battaglia e tuttavia la sorte ci fu propizia nel battesimo del fuoco in terra di Russia. Avemmo non molte perdite e la battaglia si concluse in modo positivo.

Tralascio di parlare di episodi di varia natura e specie. Si era soltanto alla prima fase di scontri in teatro di guerra altamente drammatico. Non era tanto dover morire perché anzi la morte era diventata compagna ed amica quanto il soffrire per situazioni amare e per episodi sì tanto crudeli.
E, dato il poco tempo a disposizione, dovrò limitare il racconto: grande fu purtroppo fu quello che provammo su una terra vastissima, immensa in cui oltre il dolore, la fame, il freddo intenso vi era solo sgomento e smarrimento.

La complessità di quanto avvenuto nello scacchiere russo, sia sotto il profilo tattico che strategico, di battaglie avvenute e di episodi ad esse connesse, merita un capitolo a sé stante. In questa opportunità sono semplicemente da citare i luoghi ove combattemmo: Iuni Konmar, Stalino, Karkov, Bacino del Donetsk, Steppa del Don. Dirò semplicemente quando un soldato, tuttora vivente a Tarquinia, mi vide al rientro da un caposaldo. Guardandomi esterrefatto, gli sembravo - disse - un’aringa affumicata.

Rientrai dalla Russia con treno ospedale dopo circa due anni per esaurimento organico, esiti di pleurite, membrane timpaniche lesionate, otite.

continua

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