Signor Sottosegretario di Stato, Signor Sindaco ed Assessore alla Cultura, Autorità Civili e Militari, Cittadini.
La Grande Guerra: Così nella storia di novant’anni, nella memoria delle genti, la Prima Guerra Mondiale. L’inizio d’un tremendo cammino, il travaglio di popoli, di morte e di desolazione. A quella guerra parteciparono eserciti di quasi tutta l’Europa e gli stati maggiori militari impegnati in strategie e forze d’urto. L’Italia con gl’Interventisti ed i contrari al conflitto subentrò nella partecipazione ed ebbe un peso determinante e preminente. L’Esercito Italiano, per la prima volta in maniera grandiosa, univa i giovani del nord a quelli del sud in fraterno abbraccio, in perfetto amalgama, sotto l’unico segno glorioso della Bandiera Tricolore. Trovò impreparati molti comandanti nei primi difficili momenti e non solo, ma non i combattenti, nella tenace pugna e nel loro eroismo che ancor oggi viene degnamente esaltato ed onorato. Non era raro il caso in cui, sul campo di battaglia, dopo una lotta all’ultimo sangue, si trovassero abbracciati, con i pugnali nelle carni, un Italiano ed un Magiaro. Fu guerra quella di posizione, in dura trincea, sui confini delle alpi, ai limiti della resistenza umana, di sacrifici sovrumani, impossibili tra ghiacciai e tormente. Episodi di eroismi noti e sconosciuti, familiarità con la morte, insita nella natura del combattente, umiliazioni e delicate sensibilità oltre la vita stessa ed il difficile ruolo di pertinenza. Non raro che nel Natale di guerra si unissero in trincea, per un giorno di pace e d’amore, combattenti di opposta parte sul campo per consumare un pasto comune. Un doloroso tragico teatro di guerra che ebbe anche clamorosi rovesci, ma che alfine insperatamente si risolse in una strabiliante vittoria tanto dolce e cara al popolo Italiano che segnò la fine degli Imperi Centrali. Vi fu un memorabile storico ultimo bollettino di una guerra vittoriosa firmato Generale Armando Diaz. Un nobile sudario sui corpi di combattenti immolatisi e Tarquinia ebbe i suoi grandi eroi di allora: il capitano Mario Perrini, medaglia d’oro al V.M. ed il Tenente Ettore Sacconi, con più medaglie d’argento al V.M.
Asciugare e rimarginare le ferite non fu impresa facile, l’Italia ebbe comunque un periodo di pace e potè dedicarsi al suo riordinamento. Ma un mondo sempre in agitazione evolutiva dava segni d’insofferenza ed andava dimenticando quanto era stata onerosa l’impresa bellica in vite umane ed inauditi sforzi finanziari e nei difficili riassetti funzionali di una Nazione. Si giunse purtroppo ad una nuova tremenda esplosione e dai Balcani, come già nel primo conflitto mondiale, scaturì la scintilla di una nuova polveriera. Capitò a noi questa volta di essere protagonisti di una delle più grandi tragedie dell’umanità: il secondo conflitto mondiali.
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Al mormorio del Piave faceva così eco lo scorrere lento e possente nell’est europeo del Don, raggiunto con battaglie tremende ed in avverse condizioni atmosferiche con temperature fino a 57° sottozero.
Mi sia consentito di ricordare fra i tanti un episodio. Nella progressione dei combattimenti, grazie alle particolari tattiche dell’esercito russo, non riuscivamo a capire come le rotaie ferroviarie potessero essere spezzate ad intervalli regolari. Considerato che già lo scartamento maggiore esistente nella rete ferroviaria russa costituiva valida difesa, questo provvedimento demolitorio rendeva definitivamente inservibili le rotaie. Mentre si facevano illazioni sul metodo usato dai russi, sentimmo una voce italiana con spiccato accento napoletano che ci diceva di non aver capito alcunché. Ce lo spiegò lui, quale ingegnere rimasto in Russia perché prigioniero della Prima Guerra Mondiale e dove ormai si era costituito una famiglia con più figli cercando pur nella nostalgia di dimenticare la sua bella Napoli, il suo Vesuvio e, purtroppo, l’Italia. Ci disse, ecco una locomotiva munita anteriormente di martelli temperati al tungsteno, azionati con movimento meccanico antagonista e sincrono, aveva in retromarcia sbeccato le rotaie come fossero state di vetro. Voi non lo potevate immaginare. Ci sorrise, ci salutammo stringendoci la mano con una pacca sulle spalle e con un saluto se possibile da portare in Italia.
Ho citato due fiumi per la loro sacralità, seppure tra loro distanti e nel ricordo del tempo. Ambedue irrorati da tanto giovane sangue, l’epopea di popoli orgogliosi della loro storia e così tanto vicini nella gloria.
In quest’accostamento ho voluto rendere omaggio d’amore alle sofferenze patite da tanti eroi. Ancor oggi sono orgoglioso di aver onorato la Patria, di aver dato il mio giovane braccio nel secondo conflitto mondiale sul fronte alpino occidentale, nei balcani, sul fronte russo, nel mediterraneo, nella lotta per la resistenza e liberazione d’Italia e per la rinascita di una popolazione stremata. Siamo ancora qui, certamente per la consacrazione della vicenda bellica di un tempo non lontano con la nostra sopravvivenza e presenza perché fossimo autorevoli testimoni delle alterne vicende di una Nazione sempre amata e mai tradita. Siamo qui per dire all’Italia ed agli Italiani di non temere se improvvisamente si fa buio; la speranza resta sempre viva e coraggiosamente con il sacrificio di sempre saranno vinte anche le battaglie civili per il benessere della nostra gente brava e generosa.
Auguri Italia, Viva l’Italia.
Grazie.
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